La strina cosentina: canti e tavolate della tradizione

Ogni angolo della Calabria ha la sua strina, un canto augurale folkloristico d'origini antiche, un rito, una tradizione che pian piano rischia di dissolversi nell'oblio.

Strumenti, regole, testi, melodie e usanze cambiano da paese in paese. Eppure questa tradizione è diffusa a macchia di leopardo in tutta Italia, in modi molto diversi, ma la più viva e particolare è quella calabrese.

La strina natalizia è un canto di questua e le sue origini risalgono alla notte dei tempi, non abbiamo quindi certezze sulla sua provenienza ma diverse sono le assonanze legate al mito.

Generalmente in Calabria la strina veniva cantata da Capodanno all'Epifania, in alcuni paesi oggi si canta addirittura dall'Immacolata e in altri ancora nel mese che precede il primo giorno di Carnevale.

Non esiste una strina calabrese vera e propria, ma diverse strine identificabili per aree geografiche, ognuno ha la sua e il testo di questo canto cambia sempre in base al luogo.

Nel Mezzogiorno è un rituale folkloristico legato al tempo del Capodanno, infatti l'etimologia del termine "strenna" - (in dialetto strina) per gli antichi romani (strèna) - indicava i regali di buon augurio che ci si scambiava nelle calende di gennaio, all'inizio dell'anno.

La strina calabrese

Un modo quindi per esorcizzare la fine dell'anno e un augurio di prosperità per quello avvenire, quasi un canto propiziatorio che aveva regole ben precise.

Si partiva per andare da amici con un numeroso gruppo di persone, tra "sonaturi" e "cantature" (colui che intonava le strofe) e si andava in giro per le case o le botteghe, intonando la strina di Natale per ricevere in cambio doni.

Man mano che si andava in giro per le case veniva coinvolta altra gente, fino all'alba. Dalle famiglie che avevano subito un lutto, in segno di rispetto, non si poteva portare la strina per due anni.

Fino ad una determinata strofa si cantava davanti la porta di casa, fin quando i "sonaturi" (suonatori) non incitavano il padrone di casa ad aprire loro le porte per entrare a far festa mangiando e bevendo. Chi si rifiutava di aprire la porta riceveva in cambio una strenna di sdegno, d'offesa con stornelli calabresi.